Prodotti tipici

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  • Specialità Pistoiese - Il Confetto di Pistoia

    Birignoccoluti”, in pistoiese stretto, o “confetti a riccio”, sono due dei modi con cui vengono chiamati i confetti di Pistoia. Bianchi, di varie dimensioni – 5, 10, 20 fino ai giganti di 100 e 150 grammi - si distinguono da tutti gli altri per la forma tonda, irregolare e bitorzoluta. Una forma che ci riporta alle origini del confetto. Sappiamo infatti che i primi confetti, dalla forma increspata, furono portati in Italia dall’Oriente, tra il 1100 e il 1200, da mercanti veneziani.


    Nell’Impero di Bisanzio, durante le feste, era uso che i nobili li gettassero dai balconi sul popolo festante. La forma increspata - caratteristica ancora oggi del confetto di Pistoia - li rendeva più resistenti alle cadute. Le prime notizie sui confetti di Pistoia risalgono al Medioevo, quando gli anici confecti – così venivano chiamati allora i confetti – vengono utilizzati dall’Opera di San Jacopo durante un pranzo offerto alle autorità civili e religiose, il 25 luglio 1372, per i festeggiamenti del patrono cittadino.


    Prodotti dalla Corporazione dei medici e degli speziali per la potente Opera di San Jacopo, si diceva che avessero proprietà digestive e anche medicamentose contro la peste. La ricetta originale del confetto di Pistoia prevedeva acqua, miele e, solo ed esclusivamente, un cuore di anice; solo in seguito si è passati ad utilizzare anche mandorle, canditi o cioccolato.


    La forma particolare è dovuta al tipo di lavorazione, che è rimasta la stessa dalla metà del XIX secolo quando, con la nascita dei primi zuccherifici, si iniziò ad utilizzare lo zucchero al posto del miele. Dentro dei recipienti ruotanti di rame, dette bassine - una volta dei paioli di rame - le anime dei confetti vengono avvolte da una prima copertura di zucchero a velo, detta “imbastitura a velo”. Successivamente, da un imbuto si fa cadere lentamente - all’inizio a filo e poi a goccia - dello zucchero sciolto in acqua che va a formare il riccio. Occorrono almeno 10 ore di lavorazione per ottenere i confetti di Pistoia. Una lavorazione artigianale, lunga e costosa, rispetto a quella del confetto classico, a forma di fagiolo, che i moderni macchinari possono sfornare a centinaia in pochi minuti. E proprio gli alti costi della lavorazione, sommato ad un cambio generale di costume, sono state le cause principali del declino della produzione del confetto di Pistoia. A partire dagli anni Sessanta, la bomboniera - che contiene pochi confetti - ha sostituito l’usanza in voga fino agli anni Cinquanta, di acquistare per il matrimonio chili e chili di confetti da lanciare agli invitati, fuori dalla chiesa e lungo le strade dove passava il corteo degli sposi.

  • Dove trovarlo

    Oggi a Pistoia il confetto è prodotto solo da due laboratori artigianali, una produzione di nicchia, ma in costante aumento. Da regalare nei semplici sacchetti o in confezioni più eleganti, il confetto di Pistoia è una vera e propria prelibatezza, adatto per tutte le occasioni,. Quello tradizionale con l’anice, a fine pasto, aiuta nella digestione.


    Nello storico laboratorio - negozio “Bruno Corsini”, attivo dal 1918, come testimoniano le belle foto d’epoca dell’archivio della famiglia, in Piazza San Francesco, è possibile acquistare gli originali confetti di Pistoia con l’anice, oltre alle altre varianti. Da poco, come ci dice Giorgia Corsini, pronipote del fondatore Umberto: “Abbiamo iniziato a produrre una nuova linea Officinale, ricavata da antiche ricette, con un cuore di finocchio, di cumino o di coriandolo”.


    I confetti di Pistoia sono prodotti anche dalla più giovane, ma anch’essa storica produzione artigianale “Confetteria Pistoiese”, che negli ultimi anni ha deciso di affiancare ai confetti una linea di prodotti dolciari del territorio.


    Bruno Corsini                                                                     Piazza San Francesco 42, Pistoia                                       www.brunocorsini.com


    Confetteria Pistoiese                                                           Via Macallè 77/79, Pistoia                                                     www.confetteriapistoiese.com

Il confetto di Pistoia una specialità pistoiese dove trovarlo

19/3/2023

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  • Specialità Pistoiese - Il Brigidino di Lamporecchio

    L’ emblema di Lamporecchio, piccolo comune del Montalbano pistoiese, è un piccolo dolce croccante dal gusto unico e inconfondibile: il brigidino. Solo pochi non lo conoscono perché generalmente si trova sulle bancarelle di fiere e sagre di tutta Italia e non ci si può sbagliare. Queste cialde dal retrogusto di anice sono così famosi da essere rammentate persino nel vocabolario della Crusca.

    Il brigidino è una sfoglia rotondo con un diametro di circa 7 cm, sottile come un'ostia e dai bordi irregolari. Fragile e croccante, ha un inconfondibile colore arancio-giallo e un sapore unico di anice combinato con pasta dolce fatta di zucchero, farina, uova.

    La produzione risale al periodo rinascimentale. Ci sono diverse ipotesi sull'origine del nome, ma quella più affermata dice che il nome deriva dalle Brigidine, monache di un convento di Lamporecchio devote a Santa Brigida.

    Tradizionalmente preposte alla preparazione delle ostie per la comunione, le suore hanno inventato la ricetta di queste sfoglie verso la metà del 16 ° secolo, che non a caso hanno la forma delle ostie dato che sono state fatte premendo l'impasto tra due piastre di ferro circolari molto calde.

    Questa somiglianza ha alimentato una leggenda nel corso degli anni: che i brigidini sono nati per errore. Tutto è iniziato con un errore commesso da una suora di S. Brigida mentre stava preparando l'impasto per le ostie. Per non perdere la miscela, le sorelle decisero di perfezionarla con l'aggiunta di semi di anice.

    Questo è il modo in cui è stato creato questo "piacere speciale" - come definito da Pellegrino Artusi nel 1851 nel suo famoso del volume "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene".

    Errore o meno, il successo dei brigidini è stato immediato e si è diffuso in tutta la zona Pistoiese, ma Lamporecchio è sempre rimasta come loro luogo di produzione, come testimoniato da un vecchio modo di dire toscano "tutti i brigidini provengono da Lamporecchio".

    Questi dolci sono subito diventati una caratteristica essenziale in fiere e sagre contadine.

  • Dove trovarlo

    Viene venduto a tutte le feste e le sagre paesane. 

    Lo si trova anche in vendita sulle bancarelle che si trovano lungo le vie principali di alcune città toscane, per es. a Lucca.

    Tuttavia, per chi capitasse a Lamporecchio, la pasticceria più rinomata per i brigidini è:


    Pasticceria Carli 

    Piazza Francesco Berni, 20

    51035 Lamporecchio


    Pagina Facebook Pasticceria Carli

Il Brigidino di Lamporecchio breve storia e dove trovarlo

19/3/2023

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  • Montecatini Terme - La Cialda

    Una ricetta semplice e gustosa, tramandata da generazioni: la Cialda di Montecatini Terme - due dischi sottili, farciti con mandorle e zucchero - è uno dei simboli della cultura gastronomica della città.

    Nata nel 1936 nel laboratorio Bargilli, che la personalizzava imprimendoci lo stemma di famiglia, la Cialda di Montecatini è ancora oggi uno dei prodotti più ricercati e non può essere paragonata a nessun altro dolce.

    La sapiente miscelatura degli ingredienti, tutti assolutamente naturali, la particolarità e la complessità della lavorazione, due dischi sottili ottenuti con una prima cottura per la sola sfoglia e poi una seconda con l’aggiunta di un ripieno squisito di mandorle e zucchero, danno una cialda compatta e friabile frutto della fantasia di abilissimi pasticceri.

    Perfetta a colazione, o come dessert a fine pasto da gustare con il gelato, con il tè, ma soprattutto con un bicchierino di vin santo in compagnia di amici o nell’intimità della famiglia

  • Dove trovarlo

    Bargilli - Cialde di Montecatini

    Viale Verdi, 92

    51016 – Montecatini Terme (PT)


    https://cialdedimontecatini.com/

28/1/2022

La cialda di Montecatini Terme. Breve storia e dove acquistarla

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  • Siena - i Ricciarelli

    Siena è una delle città più dolci della Toscana.

    I prodotti della sua pasticceria sono infatti famosi in tutto il mondo.

    I ricciarelli, sono forse insieme al panforte il dolce senese più famoso.

    Le origini di questi squisiti dolcetti sono senz’altro esotiche perché il loro sapore ed odore ricorda la terra d’Oriente. 

    La leggenda narra che fu un crociato senese, Ricciardetto della Gherardesca, che tornando nel suo castello vicino a Volterra dopo aver combattuto in Terra Santa portò con se la ricetta di questi dolci stranieri, la cui forma arricciata ricordava le babbucce dei sultani. 

    La tradizione popolare racconta invece che siano frutto di un errore. Nel monastero dei Servi di Maria, una suora impaziente mise a seccare i tradizionali dolcetti di marzapane a una temperatura eccessiva, cuocendoli troppo e trasformandoli così in croccanti e arricciati “ricciarelli”.


    Potete anche prepararli da voi a casa. Eccola ricetta.

    Ingredienti: mandorle dolci, zucchero, vaniglia in polvere, cannella, sale, uova, ostie, miele.

    Preparazione: Macinare le mandorle e mescolarle con l’albume dell’uovo, il miele, lo zucchero, la polvere lievitante e gli aromi.

    Dopo aver ben amalgamato l’impasto, modellate i ricciarelli con gli stampi appositi. Disponeteli in teglia, spolverateli con zucchero a velo e cuoceteli in forno a 180° per 25 minuti.


  • Dove trovarli

    Secondo noi, uno dei migliori posti a Siena dove acquistare i Ricciarelli di pasticceria artigianale è:

    La Nuova Pasticceria

    Via Giovanni Duprè 12

    Siena


    Qui potete anche trovare il Panforte.


Siena - I Ricciarelli. Breve storia e dove acquistarli

4/6/2021

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  • Siena - il Panforte

    Il Panforte di Siena è il dolce tipico della città, conosciuto fin dall'alto Medioevo. In origine era una semplice focaccia molto dolce, preparata con farina di grano e miele; poi venne aggiunta la frutta, solitamente uva, mandorle e fichi, e, dopo la scoperta delle spezie, anche la cannella, la noce moscata, il coriandolo, il pepe (per questo è detto anche PanPepato). 

Col passare del tempo il PanPepato non subì sostanziali modifiche e gli ingredienti rimasero più o meno gli stessi fino al 1879 anno in cui la Regina Margherita andò in visita alla città di Siena. Per l'occasione un cuoco preparò un Panforte più dolce, con vaniglia, che venne chiamato panforte Margherita (o panforte bianco).

Si accompagna specialmente con vini dolci, come il vinsanto.

  • Dove trovarlo

    Secondo noi, uno dei migliori posti a Siena dove acquistare i l panforte di pasticceria artigianale è:

    La Nuova Pasticceria

    Via



    Qui potete anche trovare i Ricciarelli.


Siena il Panforte. Breve Storia e dove acquistarlo

4/6/2021

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  • Lardo di Colonnata

    Colonnata è un paesino ai piedi delle Alpi Apuane, in provincia di Massa Carrara, conosciuto per le sue cave di marmo e la produzione di un salume caratteristico un tempo usato come tradizionale companatico dai cavatori: il lardo di Colonnata. Il lardo è oggi una delle punte di diamante tra i prodotti tipici toscani, uno dei salumi più buoni e delicati derivante dalla lavorazione delle carni suine. Tradizionalmente affettato sottile per poi essere gustato insieme al pane abbrustolito o con il pomodoro fresco, questa ghiottoneria ha una ricetta unica profondamente legata al territorio. Il lardo si ottiene con lo strato grasso della schiena del maiale, accuratamente rifilato e lavorato secondo un’antica tradizione e secolare esperienza. L’elemento del tutto unico è la stagionatura nelle apposite conche di marmo, dove il lardo viene adagiato a strati insieme ad aglio, aromi, sale marino in grani, pepe nero, rosmarino, salvia ed altre erbe aromatiche, e conservato almeno sei mesi. La tipicità della preparazione e quindi del salume è legata alle particolari caratteristiche di traspirazione e impermeabilità del marmo estratto nella zona di Colonnata, il lardo è infatti stato certificato come prodotto  Igp (Indicazione geografica protetta). Il suo sistema di lavorazione, immutato da centinaia di anni, è stato motivo di una lunga diatriba per la tutela delle norme d’igiene e di composizione organolettica del prodotto, ma alla fine il valore della storia e della tradizione hanno prevalso sul resto.

  • Dove acquistarlo

    Il Lardo di Colonnata è molto apprezzato e diffuso in tutta la toscana. Lo si trova con facilità in ogni gastronomia, anche nelle gastronomie dei supermercati.

    Per chi volesse acquistarlo direttamente dal produttore potrebbe essere una buona occasione per andare a visitare la città di Carrara e spingersi fino a Colonnata per acquistare il prezioso lardo.

Lardo di Colonnata. Breve Storia e dove acquistarlo

4/6/2021

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  • Chocolate Valley

    Quando si parla di Chocolate Valley molti pensano a luoghi esotici, magari in paesi tropicali dove viene prodotto il cacao.


    La Chocolate Valley invece è una zona della Toscana che si estende da Firenze fino a Pisa, divenuta famosa negli ultimi anni per via della nascita di molte produzioni cioccolatiere di grandissima qualità, ricca di artigiani capaci di realizzare prodotti eccellenti a base di cacao e cioccolato, divenuti famosi nel mondo e richiestissimi nonostante la produzione decisamente limitata.


    Qui risiedono infatti tutte le "menti" che hanno dato modo al cioccolato toscano di diventare famoso in tutto il mondo, promuovendo un'idea di cioccolato innovativa, fondata su un alto livello di qualità. D'altronde, il ruolo di innovatrice della Toscana nel campo del cioccolato era noto già nel '600 quando il fiorentino Francesco D’Antonio Carletti (1573-1636) fu tra i primi ad importare in patria il pregiato prodotto. A Firenze il consumo di cioccolato s'impose sin da subito e ne furono proprio i Medici i primi grandi estimatori, alla cui corte Francesco Redi, archiatra e scienziato, si dilettava a prepararlo secondo diverse ricette. Fu Firenze, quindi, prima di Torino, Venezia e Roma, a consolidarsi come uno dei principali centri di consumo ed innovazione nel campo della lavorazione del cioccolato. E' proprio per questo che a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, questa valle toscana è stata scelta da numerosi maestri cioccolatieri come sede della propria attività, dando modo al cioccolato toscano di diventare famoso anche all'estero.


    La qualità del cioccolato toscano è nata in risposta alle decisioni del Parlamento Europeo che autorizzavano l’aggiunta di grassi vegetali al burro di cacao, permettendo l’uso di organismi geneticamente modificati, senza doverlo dichiarare in etichetta.

  • Dove acquistarlo

    Il maestro cioccolatiere Andrea Slitti è considerato da tutti un maestro innovatore sia per la cura che riserva ai suoi prodotti che per i processi di lavorazione innovativi rivolti ad esaltare tutti i profumi e gli aromi del cacao.

    Ha vincento molti concorsi a cui ha partecipato, ultimo dei quali il Primo premio del World Chocolate Awards dell'ottobre 2012 a Londra con la sua favolosa crema da spalmare “Riccosa” e il cioccolato Grand Bouquet “CaffèLatte”.

    Una visita nel suo negozio che dista circa 10 km dall'Agriturismo I Pitti e a 15 km dal Casa Rowe B&B è un “must” per tutti coloro che amano il cioccolato e cercano un regalo veramente speciale da portare a casa.


    Slitti Cioccolato e Caffè

    Via Francesca Sud 1268

    51015 Monsummano Terme


    www.slitti.it



Il Cioccolato in toscana. Breve Storia della Chocolate Valley. Dove acquistarlo.

21/1/2022

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  • Livorno, sua Maestà il Cacciucco

    Della nascita e delle origini del Cacciucco si sa poco. Certamente questo piatto denso di sapori deliziosi, di seppie, polpi, scorfani, gattucci e altre piacevolezze marine unite nella stessa pentola e adagiati, con abbondante e densa salsa, quasi cremosa, su una distesa di pane abbrustolito e tagliato depositato sul fondo di un capiente piatto, proprio per la caratteristica mescolanza di pesci diversi capaci di convivere armoniosamente insieme, rappresenta in pieno la “livornesità”.

    Le origini della ricetta sembrano risalire al 1600, e che sia legata ai “Risiatori” (risicatori). Venivano chiamati “risicatori” quei giovani che si guadagnavano da vivere sul mare; all’epoca mancavano delle regole portuali, in una città che stava proprio in quel momento assumendo un ruolo predominante nel mediterraneo. I portuali ogni giorno si trovavano a dover fare letteralmente a gara tra di loro per raggiungere per primi i mercantili in arrivo al porto e acquisire così il diritto di prendere in appalto lo scarico delle loro merci.

    I “risicatori” stavano dunque sulle loro imbarcazioni in attesa di partire in un’affannosa remata. Nel tempo dell’attesa se ne stavano con le reti calate nel mare per tirar su qualsiasi pesce abboccasse: polpi, gattucci, gronghi, ghiozzi, boghe, scorfani, gallinelle, cicale, muggini e tante altre varietà. E nell’attesa dei pesci, tagliavano fette di pane abbrustolite strusciandovi sopra l’aglio e intingendole nell’olio, con una pentolaccia al fuoco piena d’acqua - anche in parte di mare - a bollire. Infine, tutto il raccolto delle reti nell’acqua bollente: da qui il càciuc, si dice di origine fenicia o turca, Küçiuk, un guazzabuglio non solo di pesci ma anche di storia, da cui deriva sua maestà il Cacciucco, il piatto che rende orgogliosi i livornesi della loro città. 

Il Cacciucco di Livorno. Breve Storia

4/6/2021

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  • Livorno - Il Ponce

    Era una mattina del 1614 quando nel porto di Livorno, che già rappresentava, su volontà dei Medici, la porta e l’emporio sul mare del Granducato di Toscana, approdò una feluca saracena con a bordo alcune balle di caffè e barilotti di rhum. Questi chicchi profumati e misteriosi suscitarono subito l’interesse di alcuni osti che nelle loro taverne provarono a utilizzarli, aggiungendo del rhum caldo, per preparale una bevanda forte e ricostituente per i marinai infreddoliti che a causa del brutto tempo non potevano uscire per mare.

    E quale grande invenzione! Era nato cosi il ponce, ovvero una miscela veramente esplosiva in grado di confortare gli animi e aiutare nei momenti difficili, talmente unica che ancora oggi é presente a pieno titolo nelle abitudini di ogni famiglia livornese sigillando con grande soddisfazione una bella mangiata.

    Ma Livorno non é soltanto la città dove e nato il ponce, - qui nell'Ottoceno sono nati primi caffé frequentati da genie di ogni ceto e cultura ed anche da donne, un particolare importante, che offre un’idea della mentalità del tempo e sottolinea ancora una volta le origini cosmopolite e libertarie di Livorno.

    Così ancor prima che a Venezia questi locali da sempre sono stati un luogo dove cittadini e visitatori possono incontrarsi per discutere di tutto e per cui vale la pena entrare in uno dei tanti bar della città , come lo storico e pittoresco Bar Civili (via del Vigna non lontano dalla Stazione Ferroviaria). E’ qui che si scopre un po’ della “livornesità” ed é qui che inizia il percorso da proseguire nelle tante trattorie e ristoranti della città dove è fortemente consigliato assaggiare il cacciucco, il piatto dal sapore deciso e caratteristico.


Il Ponce di Livorno. Breve storia.

4/6/2021

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  • Lucca - Il Buccellato

    Il buccellato è un dolce morbido a forma di filone o ciambella, la cui ricetta è molto antica; si dice che nel Medioevo venisse offerto dai contadini ai padroni nel giorno di Natale. 

I suoi ingredienti principalmente sono: farina, zucchero, semi di anice, uvetta; le pasticcerie della città custodiscono e si tramandano gelosamente la ricetta. Questo dolce è diffuso in tutta la provincia di Lucca. Appena acquistato è morbido e profumato, e il buccellato si mantiene a lungo. Infatti, anche se dopo alcuni giorni diventa duro, lo si può mangiare lo stesso, inzuppandolo nel vino, magari proprio un ottimo vinsanto toscano. 

I Lucchesi sono molto fieri di questa ricetta, tanto che un loro proverbio recita: "Chi viene a Lucca e ‘un mangia il buccellato è come se 'un ci fosse stato".


  • Dove acquistarlo

    Il Buccellato  viene prodotto e venduto in moltissime panetterie di Lucca, basta cercarlo, di solito viene esposto nelle vetrine.


    La pasticceria artigiana tradizionale che produce il Buccellato dal 1881, dove i maestri pasticceri si susseguono ormai da 5 generazioni, si trova proprio nel centro della città di Lucca, in Piazza S. Michele, e si chiama Taddeucci. E' facilmente riconoscibile. Il negozio è uno splendido negozio storico, con arredo originale, la vetrina è sempre curatissima che invoglia all'acquisto.


    Buccellato Taddeucci

    Piazza S. Michele 34

    55100 Lucca

    www.buccellatotaddeucci.it


Il Buccellato di Lucca - Breve descrizione e storia

21/1/2023

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  • Lucca - Il Farro

    Il farro è un antichissimo cereale. Era uno dei piatti preferiti dei Romani, che lo usavano addirittura per nutrire le loro legioni. 

    Coltivato soprattutto in Garfagnana, dove viene ancora brillato in antichi molini di pietra e viene regolarmente usato per fare un’ottima minestra e le inimitabili torte dal gusto piccante, negli ultimi anni ha conosciuto una vasta riscoperta.  Oggi, con il boom della cucina naturale e vegetariana, il farro comincia a essere conosciuto anche fuori della sua terra d’origine. 

    Nella cucina tradizionale il farro trova vari impieghi, anche se il più noto e interessante è quello come primo piatto. Per questo specifico uso il farro della Garfagnana possiede peculiarità non riscontrabili nei farri di altre provenienze. La zuppa di farro, piatto tipico in Garfagnana, oltre che essere prelibata, risulta di particolare beneficio per l’organismo umano.

    La Comunità Montana della Garfagnana ha ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta e ha costituito nel suo seno, un comitato di controllo e promozione del farro.

  • Zuppa di farro - La Ricetta

    Ingredienti per 4 persone:


    200 gr di Farro della Garfagnana

    1/2 Kg di fagioli borlotti

    1 costa di sedano 

    1 cipolla 

    1 carota 

    3 cucchiai di passata di pomodoro

    brodo vegetale

    rosmarino, salvia, aglio e pepe

    olio extra vergine di oliva


    Mettere in una pentola i fagioli (precedentemente tenuti in ammollo per una notte) e farli cuocere in 1 litro di acqua fino a che si sono ammorbiditi. Passare metà dei fagioli. Far soffriggere in una pentola con 4 cucchiai di olio il sedano, la cipolla, l’aglio, la carota tritati. Aggiungere i 3 cucchiai di passata di pomodoro, i fagioli interi e quelli passati, allungare con del brodo se necessario e far cuocere per 10 minuti. Nel frattempo far lessare in acqua il farro per 10 minuti, quindi scolarlo e aggiungerlo ai fagioli. Terminare la cottura del farro, aggiungere il rosmarino e la salvia finemente tritati, aggiustare di sale e pepe quanto basta.

    Servire ben caldo con und C di olio extra vergine d’oliva . 

Farro della Garfagnana - Breve descrizione e storia - Ricetta della zuppa di farro

28/1/2021

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  • Lucca - Elisir di China Massagli

    Fu creato nel 1855 dal dott. Pasquale Massagli nell'antica farmacia tuttora esistente in Piazza San Michele a Lucca per trattare una epidemia di malaria che si era propagata in città intorno alla metà dell’Ottocento. Dopo aver curato migliaia di persone e salvato molte vite, questo Elixir cambiò utilizzo e divenne un ottimo energetico e digestivo.

    Il liquore viene ottenuto applicando l’antica formula che prevede una lunga macerazione della corteccia di Chincona Officinalis una pianta andina dalla quale si ricava anche il chinino e l'aggiunta di droghe ed erbe aromatiche quali cannella, noce moscata e chiodi di garofano. Si tratta di un liquore dal colore ambrato scuro e dal gusto di erbe delicatamente amarognolo. Del tutto privo di conservanti e coloranti artificiali, il prodotto conserva inalterate le originali proprietà e l’aroma naturale.

  • Dove acquistarlo

    Antica Farmacia Massagli

    Piazza San Michele, 36

    Lucca 


    www.anticafarmaciamassagli.it

Elisir di China Massagli di Lucca - Breve descrizione e storia

22/1/22

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  • Prato - I Cantuccini

    Parlare di Prato e non parlare di loro è impossibile... Sono i famosi biscotti detti di Prato, ma anche „cantucci“ o „cantuccini“. 

    Sono una delle prelibatezze culinarie dell‘Italia ed un fiore all’occhiello della Toscana

    Sulle origini, al di là delle leggende che non fanno che aumentarne il mito, si sa per certo che, la prima ricetta documentata di questo dolce si trova su un manoscritto conservato nell’archivio di Stato di Prato, vergata da tale Amadio Baldanzi - un erudito pratese del XVIII secolo - e in questo documento i biscotti vengono detti alla „genovese“. Questa ricetta fu poi ripresa dal pasticciere Antonio Mattei nel XIX secolo e da allora è rimasta tale e quale, diventando a tutti gli effetti la ricetta tradizionale che distingue gli originali biscotti di Prato dalle numerose imitazioni moderne. 

    Grande successo ottennero i biscotti di Prato nel 1867 a Parigi nel corso dell’esposizione universale che valsero al Mattei una menzione speciale. Da lì il boom... A tutt‘oggi i biscotti più buoni sono quelli sfornati dal frequentatissimo Biscottificio in cui operano i discendenti di Antonio Mattei pronti a consegnarvi il pacco di biscotti nella tipica confezione di carta cerata blu: la famosa mattonella... 

    Il nome vero sarebbe „Biscotti di Prato“ perchè in origine i cantucci erano dei grossi biscotti rustici di pasta di pane arricchita d’olio d’oliva e di semi di anice. L‘equivoco sul nome potrebbe esserci generato dal fatto che sull‘antica insegna (tuttora presente) del Biscottificio Mattei, c‘è scritto sotto al nome del negozio: „Fabbricante di cantucci“, che all‘epoca erano uno dei maggiori prodotti del biscottificio. Successivamente, mentre i biscotti di Prato acquistavano fama, i cantucci divennero un prodotto minore e quasi dimenticato, ma l‘insegna è rimasta lì immutata... Probabilmente allora, la gente si abituò ad associare il nome „cantucci“ ai nuovi biscotti.

  • Ricetta dei Cantuccini

    Ingredienti


    Farina g. 500 

    Zucchero g. 250 

    Burro sciolto a bagnomaria g. 50

    Mandorle dolci g. 250

    6 uova (di cui uno per la spennelatura)

    1/2 bustina di lievito e scorza di limone quanto basta

    1 bicchierino di vinsanto


    Disporre a fontana sulla spianatoia la farina, lo zucchero, 3 uova intere e due tuorli, la scorza di limone e il lievito, poi impastare con le mani aggiungendo il burro e il vinsanto. L'impasto deve risultare morbido; aggiungere le mandorle precedentemente tostate in forno per 3 minuti e lavorarlo ancora per un po’. Dividere la pasta in filoncini della lunghezza della teglia del forno. Prima di infornare i filoncini spennellarli con un tuorlo d ’uovo. Disporre in forno a 180° per circa 30 minuti. Dopo la cottura si tagliano i filoncini con taglio obliquo per dare al biscotto la forma caratteristica, poi si rimettono in forno per 5 minuti per biscottare. Si gustano con il Vinsanto. C’è una disputa fra i buongustai: una fazione afferma che il biscotto per dare il meglio di sé deve essere inzuppato nel bicchiere del Vinsanto; l’altra sostiene che il biscotto va gustato fragrante e il Vinsanto centellinato via via da solo.

  • Dove acquistarli

    I cantucci vengono venduti in moltissime panetterie e negozi di specialità toscane.

    Per chi volesse acquistare i cantucci dal produttore più conosciuto questo è l'indirizzo:


    Biscottificio Antonio Mattei

    Via Ricasoli 20

    59100 Prato


    www.antoniomattei.it

I Cantucci di Prato - Breve descrizione e storia

23/1/2022

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  • Il Vinsanto

    Il Vin Santo è forse il vino che nell’immaginario collettivo più si lega alla Toscana

    Nettare dall’anima nobile e contadina, ha origini leggendarie. Le prime citazioni risalgono agli inizi del Cristianesimo, forse a voler indicare un vino puro particolarmente adatto al rito della Messa. 

    In seguito, si narra che nel 1348, durante la peste scoppiata nel senese, quando i moribondi che ingerivano il vino da messa somministrato da un frate sembra che esclamassero “vinsanto” per le sensazioni di sollievo provate.

    Un’altra interpretazione riconduce la nascita del termine al 1439, data del Concilio indetto da Papa Eugenio IV per discutere dell’unione della Chiesa occidentale con quella orientale. Ben settecento erano gli alti prelati greci, e tra questi l’umanista Cardinal Bessarione, vescovo di Nicea, che assaggiando del vino dolce toscano pare abbia esclamato: "Ma questo è Xantos!" (vino prodotto nell'isola greca di Xantos), trasformato poi dai presenti nell’aggettivo latino “santus”. 

    Un’ultima spiegazione fa invece riferimento al ciclo produttivo del vinsanto, basato intorno alle feste religiose più importanti del calendario liturgico cristiano. Alcuni spremono l’uva per i Santi, altri per Natale ed altri per Pasqua. Alcuni imbottigliano il Vinsanto in novembre, mentre altri ad Aprile.


    Il Vinsanto è sempre stato un prodotto fuori commercio: era il vino dell’accoglienza, prodotto in quantità minime e donato ad ospiti di notevole rilievo. Le maggiori vinsantaie erano ospitate nelle fattorie e nei palazzi cittadini, ma anche i contadini più piccoli lo producevano.


    Fatto con uva di tipo Trebbiano e Malvasia, conserva il fascino di una lavorazione

    rimasta pressoché immutata nel tempo, raccogliendo i migliori grappoli (vendemmia "per scelti") per farli appassire in modo deciso coricandoli su stuoie o appendendoli a ganci. Ad appassimento avvenuto le uve vengono pigiate ed il mosto (con o senza vinacce dipende dalla tradizione seguita) viene trasferito in caratelli di castagno e rovere e di dimensione variabile (in genere tra 15 e 50 litri) da cui è stato appena tolto il vinsanto della produzione precedente, utilizzando la feccia della passata produzione in quanto responsabile della buona riuscita del vinsanto stesso, tanto da chiamarla madre del vinsanto.


    I caratelli vengono poi sigillati e dislocati nella soffitta delle villa padronale o in un sottotetto, in quanto si ritiene che le forti escursioni termiche estate-inverno giovino alla fermentazione e/o ai sentori del vino. Generalmente si ritiene che tre anni di fermentazione/invecchiamento siano sufficienti per la produzione di un buon vinsanto anche se alcuni produttori lo invecchiano per più di dieci anni. Da un quintale di uva fresca si ricavano in genere soltanto venticinque litri di vinsanto.


    Di colore dorato fino all'ambrato, di profumo intenso, etereo, con sentori di miele, noci ed uva passa, può essere secco oppure più spiccatamente rotondo, amabile e abboccato. 

Vinsanto - Breve descrizione

24/1/2022

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  • Il tartufo di S. Miniato

    Nell’incontaminato entroterra rurale querci, tigli e salici ospitano, tra le loro radici, dove vive in simbiosi, il più pregiato dei funghi ipogei: il Tartufo Bianco delle Colline

    Sanminiatesi. Il Tuber Magnatum Pico, questo è il suo nome scientifico, è da sempre una ricchezza di queste terre. Da oltre un secolo i tartufai sanminiatesi escono la notte, in compagnia dei loro cani, percorrendo sentieri nascosti tra i boschi, intenti a catturare il minimo e flebile profumo per poter scavare qualche buca e raccogliere il prezioso tubero.

    E proprio a San Miniato, tutti gli anni, prende vita la Mostra Nazionale del tartufo bianco, una grande vetrina-mercato che richiama migliaia di visitatori italiani e stranieri.

Il tartufo di S. Miniato - Breve storia e caratteristiche

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  • Sorana - Il Fagiolo

    L'antica rocca di Sorana (una delle dieci Castella della Svizzera Pesciatina) domina dalla sua posizione strategica lo sbocco delle vallate formate dai due rami del fiume Pescia. Famosa per le ferriere e le cartiere ebbe una notevole importanza come stazione di sosta quando i paesi della collina erano collegati soltanto da impervie mulattiere. Oggi il suo nome è associato a uno dei prodotti più squisiti della gastronomia locale: il famoso fagiolo di Sorana IGP coltivato lungo i ristretti ghiareti del fiume Pescia e universalmente noto per la delicatezza della sua buccia (molti lo chiamano, infatti, il fagiolo senza buccia) che, una volta cotta, diventa una sola cosa con la polpa, e l’inimitabile sapore. Degustato con l’olio extra vergine d’oliva locale, poi, è un piatto senza rivali e da ‘scarpetta’ assicurata.


    La particolarità di questo legume è infatti unica e non ripetibile. Il fagiolo di Sorana è una leguminosa del tipo rampicante appartenente alla specie botanica Phaseolus vulgaris L.

    La pianta supera spesso i quattro metri di altezza e con le sue foglie dalla tipica forma a lancia si attorciglia da sinistra verso destra lungo sostegni piantati nel terreno. Il seme si può presentare di colore bianco latte impreziosito da lievi venature perlacee, oppure, per l'antico rosso di Sorana, di tonalità rossastra con striature più scure.

    Il fagiolo bianco di forma irregolare, piccola e schiacciata (da qui il nome piattellino) si differenzia notevolmente dal cannellino; il rosso invece è di forma cilindrica e di maggiore dimensione, ma la particolarità che lo contraddistingue maggiormente riguarda il palato. Tenero e delicato, ha una buccia sottile e liscia che dopo una cottura adeguata diviene impercettibile e si fonde completamente con la polpa. A renderlo un cibo particolarmente ricercato, oltre alle proprietà organolettiche, sono le sue caratteristiche di facile digeribilità, ed è per questo consigliato da dietologi e nutrizionisti.

    Come tutti i legumi ha un alto valore energetico, un considerevole contenuto proteico e un discreto apporto di sali minerali; inoltre non perde il suo valore nutrizionale durante la cottura.


    Se volete gustare il Fagiolo di Sorana IGP a Sorana, potete fermarvi alla Trattoria da Sandrino che offre la buona e sana cucina locale dove il delicato fagiolo di Sorana IGP cotto nel fiasco è il principe. 

Il Fagiolo di Sorana - Breve storia. Dove gustarlo

14/2/2024

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  • L'"albero del pane" - Il Castagno

    Il castagno ha rappresentato, per diverse generazioni, la principale fonte di sussistenza delle zone pedemontane. I prodotti derivati dalle castagne, primo fra tutti la farina, ancora oggi rappresentano il fiore all'occhiello della produzione locale vantano riconoscimenti prestigiosi come la Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.), a testimonianza di quanto profondamente questa tradizione sia radicata. Questa coltura, a tutti gli effetti, ha plasmato il territorio, ha creato tipologie architettoniche rurali, ha formato un artigianato legato alla lavorazione del suo legno, ha fatto nascere mestieri nuovi, é stata, in una parola, l'elemento più importante della vita di questi luoghi, l’"albero del pane”, appunto.


  • Ricetta del Castagnaccio

    Dosi per quattro persone:


    400 g di farina di neccio

    500 g di acqua

    30 g di pinoli

    50 gr uvetta

    rosmarino, olio, sale.


    Aggiungere alla farina poco alla volta l'acqua e un pizzico di sale. Amalgamare e versare in una teglia rotonda precedentemente unta con un po’ di olio, in uno strato alto cm 1,5, irrorare la superficie con un filo d'olio, cospargere i pinoli, i pezzetti di rosmarino, e l’uvetta. Infornare per 40 minuti a 180°. 

Il Castagno e la sua farina - Breve storia. Ricetta del Castagnaccio

1/2/2022

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  • Pisa - La Cecina

    Si narra che dopo la battaglia della Meloria (1284), durante il tragitto che portò i prigionieri pisani a Genova, una forte mareggiata provoco la rottura di alcuni barilotti d'olio e delle casse di farina di ceci. La polvere dorata si amalgamò così con l’olio e con l’acqua di mare e, grazie al calore del sole di agosto‚ questa purea profumata essiccandosi si trasformò nel cosiddetto “oro del pisani".

    Preparata in grandi teglie di rame e servita con una spolverata di sale e pepe, la cecina é presente in quasi tutte le pizzerie della città di Pisa e dei comuni  limitrofi. 

    La si può gustare all'intemo di una stiacciatina, focaccia dalla tipica forma rotonda, ma é deliziosa anche come farcitura di un quarto di “pizza alla pisana" con pomodoro, parmigiano, capperi e acciughe, tradizionalmente accompagnata da un bicchiere di “spuma bionda”. 

  • Ricetta della Cecina

    Ingredienti

    200 gr di farina di ceci

    600 gr di acqua

    6 cucchiai di olio extravergine d’oliva

    1 cucchiaino di sale 

    pepe qb

    rosmarino


    Disponete la farina di ceci e il sale in una ciotola, mescolate con una frusta e iniziate a versare l’acqua poco alla volta fino ad eliminare tutti i grumi.

    Aggiungete tre cucchiai d’olio e mescolate nuovamente. Coprite la ciotola e fate riposare il composto per almeno tre ore.

    Accendete il forno a 250°C e quando arriva a temperatura oliate uniformemente una teglia da 32 cm di diametro, con tre cucchiai d’olio.


    Versate la pastella nella teglia, aggiungete gli aghi di un rametto di rosmarino e infornate. Fate cuocere per 25-30 minuti o finché la cecina sarà dorata e si sarà formata bella crosticina. Servitela calda con una spolverata di pepe a piacere.

Pisa La Cecina - Storia e ricetta

20/7/2022

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  • La Finocchiona

    E’ sicuramente il salume più famoso della Toscana intera ed è figlio della terra del Chianti. Gli esperti del settore sostengono che sia nata fra Greve in Chianti e l’Impruneta, ai tempi in cui i semi di finocchio, si usavano per conservare i salumi, perché il pepe era merce rara e costosa... E’ un salame subito riconoscibile per le sue grandi dimensioni, la carne rosata e i grandi lardelli bianchi. E’ fatto di pasta piuttosto grossa e composta da carni magri e grasse del maiale tritate insieme. In certe zone della campagna toscana esiste anche la sua variante chiamata “sbriciolona”. L’impasto è lo stesso e il condimento (sale, pepe, aglio e finocchietto selvatico) pure, ma diverso è il procedimento di macinatura che avviene esclusivamente “a coltello”; cioè ad opera del salumiere che prepara la “sbriciolona” completamente a mano, armato di solo coltello. Ne discende che l’impasto è più friabile e si sbriciolerà, piacevolmente, ad ogni affettatura: da qui il nome! 

    Una storiella leggendaria legata al nome stesso di questo salume vuole che, il termine “infinocchiare” derivi dalla finocchiona. Un termine che i contadini affibbiavano a chi andava ad acquistare il vino sfuso. Le spezie che venivano aggiunte al vino, esercitavano su questi ingenui un’azione anestetica sulle pupille gustative e facevano così sembrar loro buoni anche i vini di scarsa qualità. Da qui il termine toscano “infinocchiare” che sta per fregare, dare una fregatura.

La Finocchiona

13/7/2023

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  • Il Sigaro Toscano

    La storia del sigaro toscano è oramai leggenda: Firenze, agosto 1818, nella Manifattura del Granduca di Toscana Ferdinando III, un acquazzone coglie di sorpresa del tabacco Kentucky messo a seccare all’aperto. Invece di buttarlo si sceglie di utilizzarlo per fare dei sigari a basso costo per il popolo. Ma quello che era stato un modo per recuperare un danno economico, si trasforma in un successo clamoroso. Il tabacco bagnato ha fermentato dando al sigaro un sapore nuovo che ha incontrato il gusto della gente. Da quel momento in poi il sigaro toscano sarà prodotto a Firenze per 130 anni, dal dopoguerra la produzione si sposterà nelle Manifatture di Lucca e di Cava dei Tirreni. Oggi è prodotto in Italia dalle Manifatture Sigaro Toscano S.p.A. 

    Creato dalle donne, ma amato dagli uomini, il suo segreto sta nel processo di produzione che col passare dei secoli ha mantenuto intatta la sua artigianalità: ancora oggi non è affidato a macchine ma alle lady del tabacco e alle loro mani di fata. Le migliori riescono a confezionare cinquecento sigari in un solo giorno. Bagnano le loro dita nella ciotola che contiene colla a base di amido di mais. L’adesivo naturale, steso sulla tavoletta di legno, tiene ben aderente metà di una foglia Kentucky. Lisciano il tabacco, ne dosano la quantità, la lunghezza e la grossezza e creano il sigaro arrotolando la fascia in modo che non si apra durante l'essiccazione. Manualità, precisione e passione. Ecco i tre requisiti fondamentali per le sigaraie, un mestiere che in passato veniva tramandato gelosamente di madre in figlia. Oggi per apprendere questa antica abilità serve un apprendistato di diciotto mesi, sotto la stretta supervisione di una maestra. Una ventina a metà Ottocento, 1500 alla vigilia della prima guerra mondiale, le sigaraie nello scorso secolo sono state il primo esercito di lavoratrici in Italia a rivendicare diritti per le donne, conquistando l'apertura di asili nido all'interno dei posti di lavoro. In Europa non era mai successo prima.


    Il sigaro Toscano ha la caratteristica forma dalle estremità tronche, con un diametro inferiore rispetto alla parte centrale. La lunghezza varia da un minimo di 15,5 cm ad un massimo di 16,3 cm, l’unica eccezione è per il tipo denominato “Il Moro” di 23 cm. Il processo di lavorazione, rimasto sostanzialmente invariato rispetto a duecento anni fa, ha nella fermentazione la fase chiave per la qualità finale. Il tabacco Kentucky all’arrivo in Manifattura, viene selezionato, messo all’interno di grandi gabbie e immerso in vasche di acqua demineralizzata. Quando la temperatura arriva a 50/60 gradi, per evitare che possa marcire, viene raffreddato e arieggiato. Eliminato il costolo centrale della foglia, messo in cassoni, detti “marnoni”, arriva a fermentazione. Il tabacco per il ripieno viene spezzettato e tagliato a seconda del tipo di sigaro che si vuole ottenere. A questo punto il sigaro toscano viene preparato a mano, uno ad uno dalle sigaraie. Sistemati su appositi “telaini”, i sigari sono posti per un certo periodo di tempo 30 giorni ad eccezione dei 60 per il Toscano Antica Riserva - in apposite celle a temperatura ed umidità controllate. Successivamente inizia il processo di “condizionamento” durante il quale i sigari, ormai asciutti, vengono anellati e cellofanati. Il prodotto, così confezionato, viene sistemato in appositi “sacconi” (pianali in legno e iuta) ed avviato al magazzino di maturazione dove resterà per un periodo mai inferiore ai sei mesi. La fase di maturazione è, con la fermentazione, quella che più incide sulla qualità del sigaro: è in questo periodo che i sigari raggiungono la piena maturità, assumendo quel gusto e quell’aroma inconfondibili. 


    Il sigaro toscano si trova in tutte le tabaccherie.

Sigaro Toscano. Breve storia

21/2/2024

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